L’era della distanza e le istituzioni della comunità
di ALDO BONOMI Microcosmi – Il Sole 24Ore
È utile scavare nelle parole dette e usate per attraversare la pandemia. Capire quali danno speranza nell’anno della distanza fisica che si è fatta psichica. Prima è riemersa la voglia di comunità. Oggi, sia per il corpo da curare sia per le economie della ripartenza siamo appesi alla parola Istituzione. Lì cerchiamo scienza e sicurezza per vaccini e recovery plan nella metamorfosi economica. Mi sentivo e mi sento un po’ spaesato con i miei microcosmi di comunità, rispetto alla potenza verticale di Big Pharma, dei big data e delle economie. Ed ero ancor più sorpreso dal titolo dell’ultimo libro di un mio filosofo di riferimento, Roberto Esposito, Istituzione (Il Mulino). Fiducioso mi sono inoltrato nello iato tra Communitas e Istituzione per capire se fosse possibile ragionare delle “istituzioni della comunità”. Certo può apparire come un ossimoro, anche più radicale della dialettica, molto approfondita nel libro, tra movimenti e istituzioni, ma la lettura attenta del libro e della realtà sociale ci aiutano a capire quali possono essere momenti di incontro tra due polarità distanti nel loro essere orizzontalità dei sussurri e verticalità del diritto. È un libro denso di tessiture sociali, partendo dall’essenziale ai tempi della distanza fisica della «nuda vita» (Benjamin) in cui «per restare in vita, non possiamo rinunciare all’altra vita, alla vita con gli altri, cui ci lega il senso più intenso della communitas». Questo vale sul piano orizzontale del fare società e su quello verticale del fare istituzioni. Da quelle della cura negli ospedali a quelle regionali, nazionali, sino a quelle che ho definito «comunità di cura larga» fatte da insegnanti, rappresentanze, Ong, che hanno fatto argine alla solitudine degli invisibili. Sono stati e sono tempi di biopolitica «tra politicizzazione della medicina e medicalizzazione della politica», dove il libro scava cercando di andare oltre Foucault, contaminandolo con il filosofo della teoria del dono e del “fatto sociale totale” Marcel Mauss e la sociologia di Durkheim.
Sono cambiate le tracce di comunità, che prima cercavamo solo nei distretti della terza Italia con Bagnasco, Becattini, De Rita, inseguendo l’economia. Cercare tracce di istituzioni di comunità rimanda oggi al rigenerarsi nel salto d’epoca del fare società. Non rimanda forse a questo il travaglio delle rappresentanze che partendo da Confindustria si interroga sul tema fabbrica/salute, vaccini in fabbrica, e a Milano convoca un forum su come rigenerare la città, per arrivare a Cna e Confartigianato che studiano come cambiare la legge sull’artigianato e Confcommercio che denuncia la desertificazione dei distretti del commercio e pone il rapporto tra prossimità e le astronavi del e-commerce? Per tutti sono saltati i codici Ateco che regolavano dall’alto il contratto e i lavori e il sindacato in difficoltà tra le canne d’organo verticali e il suono assordante della moltitudine dei lavori senza rappresentanza e il salto verso il telelavoro governato dall’algoritmo. Per non parlare degli ordini professionali, assediati dal proliferare di nuove professioni che si denominano con la lingua della globalizzazione. Ce n’è abbastanza per porre il tema di una rigenerazione delle istituzioni della società di mezzo.
Se poi guardiamo in basso alla moltitudine senza speranza, abbandonata da un welfare state in difficoltà alle cure della comunità di cura si delinea tutto da ricostruire e istituzionalizzare il welfare di comunità. Con le sue contraddizioni se guardiamo al mediterraneo delle migrazioni, dove non è solo questione di diritto il dibattito aspro e lacerante sul ruolo delle Ong che si fanno istituzione di comunità per il soccorso in mare. Anche il tema della crisi ecologica condiviso dall’alto ha le sue istituzioni dal basso come ho sempre pensato dovessero essere Legambiente o Symbola, che dopo aver lanciato il manifesto di Assisi ora chiama a raccolta le esperienze proliferanti che fanno green economy, ma soprattutto embrioni di comunità di pratica. Comunità concrete diffuse nei piccoli comuni, nei quartieri e nelle città ridisegnate nella prossimità da 15 minuti, in una effervescenza che va ben oltre quelli che chiamavamo gli enti locali che si interrogano sul significato “dell’essere in comune”. Si moltiplicano sul territorio le fondazioni di comunità che impattano sul diritto privato di un “capitalismo fondazionale” di fondazioni di impresa o bancarie, ponendo la questione del passaggio verso il “comunitarismo fondazionale”. Per tornare al filosofo, siamo partiti dal “potere costituente della vita” attraversando corpi intermedi e comunità concrete tratteggiate come istituzioni. Non ci rimane che metterci in mezzo alle metamorfosi istituzionali di una Europa da cui aspettiamo vaccini e recovery plan e di uno Stato a cui guardiamo sperando nel venire avanti di istituzioni di comunità contaminanti.