Editoriali e Interviste, News

L’utopia possibile del museo

di Aldo Bonomi   Microcosmi – Il Sole 24 Ore   VeneziePost

Chiamati da ICOM Italia e con Fondazione Brescia Musei, i musei italiani si sono riuniti per discutere della loro metamorfosi. Consapevoli di essere «istituzioni della comunità» (Esposito) che sempre più guardano alla società “fuori dalle loro mura” costruendo sistemi di relazione nei territori. Al centro della riflessione la questione dell’impatto sociale esercitato da un museo nel quale, un po’ come per gli iceberg (Bonet) le collezioni costituiscono solo la parte visibile rispetto ad attività di mobilitazione, coesione e capacitazione sociale che, pur rimanendo ancora poco raccontate, oggi rappresentano la voce in crescita nei musei contemporanei. Sono da sempre in trasformazione: da collezioni dei principi mecenati del rinascimento, tra Ottocento e Novecento diventano vere e proprie istituzioni culturali aperte prima ad una élite e poi al popolo, prima «strumenti dell’imperialismo» nel secolo borghese e poi nel secolo socialdemocratico strumenti pubblici di crescita culturale, ma sempre come istituzioni della cultura «alta».

Oggi per i musei si apre un nuovo ciclo, sono spinti sempre più ad auto-legittimarsi in quanto istituzioni civiche che si “mettono in mezzo” tra cambiamenti globali e patrimoni culturali territoriali. Raccontati per lo più quando fanno da attrattori dei flussi della turisticizzazione, i musei oggi sono soprattutto luoghi da cui provare a sperimentare una mediazione tra kultur dei luoghi e civilization locale-globale.
Un posizionamento che riflette anche il rapporto tra cambiamento della composizione sociale e i suoi riflessi nella pluralità e diversità crescente dei pubblici che li frequentano.

Il museo oggi è una delle forme istituzionali attraverso cui le nostre società “ricordano” il loro futuro, tema importante soprattutto oggi. Metaforicamente mai come in quest’epoca ci sarebbe bisogno di un museo che raccontasse i legami storici tra Europa e Atlantico, tra Europa e Urali, tra l’Europa del “burro” e l’Europa “dell’olio”. Ricordiamoci che Thomas Mann pensò il dibattito tra kultur e civilizzazione, tra filosofia tedesca e le lunghe derive braudeliane a ridosso della guerra mondiale. Mettersi in mezzo oggi alla filosofia della storia sempre più necessario dentro i grandi salti d’epoca. Il museo è un trattino ad unire kultur civilization con oggi in più la sfida di una ondata tecnologica fino all’AI, che può potenziare il museo non solo sul fronte dell’industria culturale, ma della ricerca e dell’educazione. Il museo del domani tratteggiato a Brescia è una vera e propria autonomia funzionale, cioè una istituzione della comunità che svolge una pluralità di funzioni strategiche. Tre identità convivono nel museo contemporaneo. In primo luogo, esso rimane fabbrica della conoscenza, spazio di conservazione/esposizione e sempre più anche di ricerca e formazione, parte di una piattaforma educativa che produce capacitazione culturale, sia in termini di coscienza storica dei luoghi che di crescita della capacità umana diffusa di incorporare il salto tecnologico. Il museo è però anche fabbrica dell’industria culturale e macchina dell’intrattenimento urbano, attrattore e motore produttivo di filiere del turismo e dell’eventologia, parte delle industrie terziarie urbane. Ma in terzo luogo, il museo diviene parte delle economie fondamentali, infrastruttura di qualità della vita urbana e dei territori, parte essenziale di una agenda della riproduzione e coesione sociale. Nel tessere e ritessere coesione sociale nelle economie fondamentali, che stanno nel mare sociale sotto il museo iceberg, si fa emergere e si racconta «un luogo eterotopico» (Foucault evocato da Barreto), il museo che genera beni riproduttivi. Questo nuovo ruolo civile, può essere interpretato dai grandi musei metropolitani attraverso le reti lunghe che uniscono le città-mondo, o anche nei piccoli musei territoriali di comunità.

Per l’Italia mi pare particolarmente interessante la traiettoria del museo-autonomia funzionale nel contesto delle città medie che uniscono oggi patrimonio storico, istituzioni delle civiltà industriale e flussi della turisticizzazione. Lì è quantomai evidente il potenziale del museo come istituzione collettiva, da raccontare oltre le sole importanti tecnicalità valutative e dell’impatto economico. Anche i musei non sono più, come per il sociale, il terzo settore della cultura. Anche per loro sono maturi i tempi di un terzo racconto oltre la dicotomia del museo solo come istituzione pubblica-statuale oppure istituzione privata della impresa. Un racconto che non è storytelling, ma capacità riflessiva per contare di più in una rete nazionale-internazionale come ICOM che si fa intelligenza collettiva dei territori. Il museo è sempre più un luogo eterotopico, luogo di una utopia possibile nel qui ed ora. Una utopia possibile evocata nelle conclusioni dei lavori dal presidente Lanzinger e dalla presidente Bazoli.

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