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Quello spicchio di Piemonte che deve inventarsi di nuovo

di Aldo Bonomi  Il Sole 24Ore – Microcosmi
Veneziapost

Sui territori si colgono tracce di una faglia tra le potenzialità di crescita che toccano il soffitto di cristallo e la tenuta della coesione sociale. Un microcosmo in questo senso esemplare è lo spicchio di Piemonte proteso lungo il Tanaro, imperniato su Alba e le Langhe che possiamo estendere a Bra e Asti in un asse di città medie poli manifatturieri e dei turismi.

Mentre Torino cede oggi con Comau l’ennesimo tassello strategico, qui in pochi decenni la “malora” fenogliana faceva spazio a un caso territoriale di successo. Una storia nota, con il decollo industriale tirato dai futuri “campioni” del dolciario (Ferrero), del tessile (Miroglio) e poi da medie industrie di meccanica, gomma, macchinari, laminati e altri settori e poi il rilancio del vigneto e della nocciola, l’iniezione di capitale simbolico (Slow Food, l’Università a Pollenzo, il riconoscimento Unesco al paesaggio) per giungere al turismo stellato e all’eventologia pop che applica i principi del fordismo al tempo libero.

Un Popfordismo che pare aver dimenticato che allo sviluppo concorsero anche fattori convenzionali (imprenditoria diffusa, alternative all’emigrazione, funzioni urbane, cultura del lavoro, varietà delle specializzazioni). Dietro e prima dell’impresa che competeva c’era un territorio, un retroterra di radici sociali e storiche forti e un capitale “sociale e culturale” specifico. È guardando all’inaridirsi di quel capitale sociale che si percepiscono scricchiolii che indicano la necessità di ridisegnare la traiettoria dello sviluppo. Una ricerca esplorativa promossa dalla Fondazione Don Gianolio di Alba tra gli attori del territorio (imprenditori, sindaci, agenzie collettive, rappresentanze degli interessi) ha posto in primo piano, come altrove, la penuria di forza-lavoro e il venire meno della cultura del lavoro con l’apparentemente accresciuta rigidità dell’offerta. Nei settori forti non si trovano i profili “giusti” richiesti dalla doppia transizione digitale e verde. Nei settori più deboli e nelle professioni esecutive non si trovano i lavoratori tout court. Nella piramide della popolazione rovesciata dalla crisi demografica si frammenta il diamante del lavoro che teneva assieme senso e reddito. È una delle questioni che ipotecano il futuro dei territori.

Un altro scricchiolio riecheggia nelle città medie al centro della piattaforma. Tra salario e profitto si incunea la rendita che si riverbera nell’accresciuto costo riproduttivo a partire dall’abitare, e qui anche negli eccessi di valore raggiunti dai terreni più pregiati. Quando il mattone e la zolla divengono derivati, il rischio del depauperamento collettivo è dietro l’angolo. Ad Alba non si trovano lavoratori, ma quelli che giungono da fuori non trovano casa, i proprietari puntano agli affitti brevi con effetti ormai risaputi. I beni “comunitari” che avevano attrezzato lo sviluppo del territorio sottraendolo alla malora faticano a riprodursi. Il sistema si è fatto piattaforma territoriale capitalizzando le coalizioni per la produzione dei common per competere (finanza di vantaggio, formazione, brand territoriali, ecc.) che fanno volare nutella e barolo dai noccioleti e dalle vigne nel mondo. Guardando oltre le mura dell’impresa si capisce che il sistema locale è divenuto troppo stretto per le economie emergenti che agiscono in spazi multilivello per alimentare conoscenze e servizi che cercano la domanda su un bacino più vasto. Questo tematizza l’irrisolto rapporto tra sistema locale, piattaforme d’area vasta, spazio metropolitano e il rapporto con Torino che è ben altro dei tempi della FIAT. Sul territorio si affrontano i problemi riproduttivi elaborando soluzioni con il proprio bricolage creativo, a livello di singola impresa o famiglia imprenditoriale alzando lo sguardo alla politica che si divide su ius scholae e salario minimo. Qui appare una interessante ellisse territoriale da Ivrea alle Langhe di spirito olivettiano che connette la vecchia cultura dell’imprenditore con i valori del neo-management impregnato di cultura HRM. Le imprese che hanno risorse e visione investono nel welfare integrativo, nella contrattazione di secondo livello o in orari flessibili e di vantaggio. Alcune si spingono a dare alloggio agli stagionali, a pagare i costi sanitari, ad agevolare la formazione autonoma. I francescani gestiscono in città alloggi per posti letto facendosi comunità di cura non solo per l’affitto. Gli industriali progettano iniziative di valorizzazione e attrazione di lavoratori in convenzione con i grandi enti no profit. In un territorio che conferma la presenza di orientamenti all’azione per riprodurre coesione sociale forse necessita uno sforzo di autoanalisi e di autovalorizzazione della coscienza di luogo per dar corpo ad un intelletto collettivo sociale adeguato alla metamorfosi.

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