Editoriali e Interviste, News

Per i territori che vogliono cambiare la lezione delle Brianze

di Aldo Bonomi  Microcosmi – Il Sole 24 Ore

Anche per i territori è difficile rovesciare le vulgate e le retoriche della storia quando “marchiano” un territorio. È il caso della Brianza e dei brianzoli. Un tempo brughiera verde per ville della nobiltà milanese poi quando nei salotti della borghesia come ci ricorda l’ingegner Gadda, si discute di frigoriferi e automobili diventa spazio fordista per la Candy, Autobianchi…e primo polo high-tech a Vimercate.
In mezzo distretti operosi e fabbrica diffusa del legno arredo ben prima del Salone del Mobile nella città infinita milanese proliferante di capannoni e centri commerciali. Difficile smarcarsi dalla vulgata Brianza – fabbrichette e brianzoli grandi lavoratori e darsi una identità adeguata ai tempi in cui si cerca un brand da territorio distintivo quando si è “periferia” della Milano dove si celebrano brand ed eventi globali.

Assolombarda ne ha fatto un caso studio di trasformazione riflessiva nel rapporto tra rappresentanze e territori distintivi con il progetto “Monza e Brianza 2050: la Brianza che si trasforma”. Seguendo le imprese, la loro genealogia in una traiettoria che dall’impresa come storia di vita pendola verso l’impresa molecola del capitale per strutturarsi, dotandosi di sapere tecno-scientifico in medie imprese a grappolo verso una neoindustria con reti da multinazionali tascabili che nel mondo non solo esportano, ma producono. Ma bastano i numeri e le storie di impresa per ridisegnare il futuro e fare della Brianza un territorio distintivo? Una Brianza che in primo luogo si è scomposta: oggi dobbiamo parlare di Brianze al plurale, non solo in rapporto alla tradizionale distinzione tra Brianza occidentale del mobile, Monza o il Vimercatese delle multinazionali oggi dei servizi tecnologici; ma diverse Brianze intese come scenari evolutivi che dialogano con una Milano anch’essa più plurale di quanto non appaia. C’è così, una Brianza delle neofabbriche manifatturiere che ormai hanno incorporato tecnologie e saperi, cresciute come imprese-rete nodi di una piattaforma produttiva che integra sempre più i servizi a monte e a valle come nel modello della ragnatela del valore. Con una parte delle filiere che però non riesce a seguire questa trasformazione che non può essere solo selettiva, ma porsi il problema di come accompagnarsi all’evoluzione del mondo artigiano e del commercio. La neoindustria per crescere deve sempre più porsi il problema di guardare “fuori dalle mura dell’impresa”, perché vive di economie esterne che solo una società dotata di coesione sociale, infrastrutture e beni collettivi, riesce a produrre. È questo un punto centrale di cambiamento: non si tratta più solo di filantropia del singolo imprenditore illuminato, ma di rigenerare un modello di governance che veda l’impresa contribuire al territorio come attore collettivo. Gli imprenditori brianzoli sono consapevoli che la loro impresa fatica a crescere se non crescono gli investimenti sul territorio, perché non si trova forza lavoro formata, infrastrutture che permettano di raggiungere le fabbriche, welfare e cultura per garantire riproduzione sociale e qualità della vita. Oggi il rapporto fabbrica-società che preannuncia la neoindustria è diverso dalla tradizione, perché richiede servizi e vive dell’interconnessione con Milano, ma anche con uno spazio di posizione che si allarga alle altre città medie lombarde, al Nord Ovest, al LOVER delle filiere verso est. C’è una Brianza neoindustriale in divenire che è cresciuta in termini di differenziazione delle imprese, del crescere di ruolo del Terzo Settore e dell’impresa sociale, di utilities e autonomie funzionali dei saperi e della cultura da sviluppare come Villa Reale. Il problema non è più la Brianza come parte di una città infinita che cresce per proliferazione. Quello che si delinea è lo scenario di una Brianza delle città-snodo in cui i principali centri urbani da Monza a Seregno, Vimercate, Desio, Cesano Maderno, Meda ecc. si definiscono come centri di servizi formativi per le filiere e nodi di una piattaforma urbana sempre più connessi direttamente con Milano. Città che attraverso le reti infrastrutturali cresceranno come parte di una Milano che per questo, sarà essa stessa sfidata a cambiare e differenziarsi, fuori dal tradizionale rapporto tra città centrale e periferia. Anche perché in Brianza fuori dalle mura della fabbrica c’è il tema dei beni collettivi, degli investimenti infrastrutturali, della formazione, del welfare, dell’abitare, di un rapporto nuovo tra welfare pubblico e welfare aziendale e di ciò che resta nella crisi ambientale della brughiera verde delle ville di un tempo, con tanto di parco e di polo culturale possibile della Villa Reale. Significa porre il tema di un’alleanza tra imprese e città, centri urbani di media dimensione anch’essi in transizione per composizione sociale, logiche dell’abitare, crescita di neopopolazione in uscita da una Milano sempre più selettiva, per la turisticizzazione o la desertificazione commerciale. Anche le reti infrastrutturali sono in ripensamento con le utility in transizione dal municipalismo al mercato, la Pedemontana con il ruolo di rete di connessione orizzontale tra le città-snodo e tra queste e il territorio, o la MM fino a Monza e le metrotranvie come assi per andare dentro Milano. Bisogna guardare oltre le mura dell’impresa, perché i confini amministrativi e la geografia dei flussi sociale e economica non corrispondono più, non combaciano le geografie istituzionali e socioeconomiche: per avere beni collettivi e qualità della vita come risorse competitive/attrattive occorre riprendere controllo sulla città infinita facendo dialogare imprese, rappresentanze, città, utilities, infrastrutture, imprese sociali. Nell’indistinto incerto e frammentato della globalizzazione, tanti cercano un futuro da territorio distintivo (in Brianza, nella Marca trevigiana, nella Modena prossima a Bologna) ridisegnando il ruolo delle imprese e delle città nel “non ancora” che ci aspetta. Molto dipenderà da quanto le rappresentanze di impresa e le città, Milano in primis, avranno chiaro che le nuove identità territoriali stanno nella capacità di relazione.

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