Coniugare sviluppo e coesione sociale nelle città medie
di Aldo Bonomi – Microcosmi – Il Sole 24 Ore
Qualche tempo fa ho seguito la presentazione del nuovo Pgt di Varese. Parto da qui per tornare a ragionare di città medie e di una Italia municipale che sta provando a riposizionarsi oltre le proprie mura. Varese prova a re-immaginare il suo ruolo di capoluogo partendo dalle virtù del policentrismo, immaginando cinque traiettorie che vanno dal ridefinire la lunga deriva dell’identità di città-giardino nell’iper-modernità della questione ambientale, i nuovi turismi, la mobilità leggera, la cura, l’inclusione. Un progetto di riposizionamento tra Piemonte e Lombardia, che coglie la metamorfosi della Varese industriale (dai frigoriferi agli elicotteri) e dei distretti lungo la valle dell’Olona. Si cerca di definire un proprio spazio tra l’attrazione del magnete terziario milanese e la forza delle dinamiche transfrontaliere con la vicina Svizzera, lungo l’asse del Sempione.
È l’esempio di una vitalità strategica delle élite urbane di molte città medie che oggi, facendo leva anche sulle risorse del Pnrr, non si limitano a mettere in sicurezza le infrastrutture civiche dimenticate dall’austerity, ma provano a ripensare il proprio spazio di posizione in una logica di area vasta e di reti collaborative tra città. Una volontà che ha a che fare con il cambiamento della composizione sociale di città dove ci sono segnali di un neomunicipalismo dal perimetro allargato, portatore di una idea di città aperta, che vede il proprio sviluppo come parte di piattaforme territoriali urbano-industriali più vaste. Credo che la composizione sociale e le forme di rappresentazione collettiva delle città medie oggi vivano tensioni e sfide nuove rispetto al passaggio di secolo. Se negli anni ’90, le città medie erano in primo luogo «città di produttori» strettamente integrante con le società distrettuali e manifatturiere che spesso le attorniavano,
oggi ci troviamo di fronte a centri dalla composizione mutata. In primo luogo, per l’estensione anche a queste città di un modello metropolitano di città dei flussi trainato da turisticizzazione e studenticizzazione e da un mercato del lavoro polarizzato, che nelle fasce più basse inizia anche qui a faticare nel tener dietro all’impennata dei costi riproduttivi (casa, servizi, energia, ecc.).
È il correlato di una trasformazione nel mercato immobiliare e nella prevalenza di un terziario dei consumi d’alta gamma, che rischia di ridurre l’accessibilità sociale delle città. Basta ricordare la desertificazione commerciale selettiva nelle città. Accanto ai rischi, questa traiettoria di crescita, porta con sé anche possibilità di sviluppo di qualità, la crescita di nuovi ceti medi esito di una specializzazione nelle economie della conoscenza, la crescita di servizi strategici per la trasformazione delle filiere manifatturiere nei territori e di istituzioni di formazione tecnica o umanistica, oltre alla ricerca nelle università locali, fino al welfare e alle economie della cura con un Terzo Settore che in alcune realtà sembra essersi rafforzato come componente delle classi dirigenti urbane. La sfida per le città medie è governare cambiamenti e tensioni, evitando il rischio di divenire città socialmente strette e trovando l’equilibrio migliore tra le economie della rendita e l’esigenza di mantenere una coesione sociale che è alla base di una loro distintività in termini di qualità della vita. In cambiamento è anche il ruolo e l’integrazione con le piattaforme territoriali e produttive.
Nella misura in cui la composizione sociale e produttiva diviene più metropolitana, è strategico capire quali nuovi scambi di servizi possano generarsi con il territorio. Qui la sfida è costruire politiche complesse che riescano a governare le infrastrutturazioni necessarie oltre la logica dei campanili, integrando tra loro scelte ambientali, sociali, paesaggistiche, insediative. La stessa trasformazione delle filiere industriali in reti di area vasta richiede la capacità di costruire contesti di qualità della vita oltre il perimetro del campanile. Su questo il ruolo delle autonomie funzionali, agenzie delle reti che del neomunicipalismo allargato possono essere i contenitori istituzionali, diviene strategico.
Utilities, fondazioni, Camere di Commercio, università territoriali, possono svolgere un ruolo di istituzioni di giuntura, una poliarchia che insieme ai Comuni può rispondere ad un vuoto di istituzioni intermedie tra Regioni e città che sta diventando sempre più evidente. Anche perché la qualità della vita delle città medie non può restringersi al cerchio delle «Ztl». L’Italia delle cento città mi pare ad una biforcazione non da poco nel disegnare sviluppo e coesione sociale.