L’importanza dell’idea di relazione per una società sana
di Aldo Bonomi Editoriali – Il Sole 24 Ore
Si può e forse si deve tentare, partendo dal legno storto del territorio, l’indagare non solo le passioni fredde dell’economia e degli interessi, ma anche le passioni calde del sentire e dei desideri che rimandano al Generare Libertà. Titolo accattivante, da filosofia della crisi del soggetto, del libro di Giaccardi e Magatti che potrebbe sembrare altro da quella filosofia del territorio che Becattini e De Rita, partendo dalla libertà dell’intraprendere, hanno definito «intimità dei nessi» per fare distretto e «gene egoista dell’impresa».
Riletto dal basso e dai racconti delle vite minuscole sotto sforzo per fare resilienza nella metamorfosi tumultuosa delle economie, le due filosofie sembrano non incontrarsi. In basso dicono lasciateci la libertà resiliente estrema, addirittura del «mi spezzo ma non mi piego»; il Generare Libertà in alto ai nuovi ceti affluenti nella «danza delle relazioni» delle opportunità. Sembra unificante il monito dei due autori rivolto sia al «gene egoista dell’impresa» che a quelli che danzano nella società dello spettacolo delle opportunità: «Accrescere la vita senza distruggere il mondo». Monito rivolto sia ai «sonnambuli» del rapporto Censis che ai resistenti della resilienza a cui ricordano che siamo in una società fuori squadra a rischio di entropia, di implodere frammentandosi «verso gli stati più probabili…. più microscopici» a proposito di microcosmi. Non è solo questione di antropocene e materialità della terra bene comune, ma anche del tecnocene che, pur moltiplicando le informazioni e gli spazi di libertà da percorrere fa dire agli autori «Non siamo mai stati così bene. Ma non siamo mai stati così stressati».
Nel salto d’epoca di una società dell’individualismo compiuto siamo passati dai mezzi scarsi ma con fini certi al non ancora che si dispiega nell’iperpotenza dei mezzi ma con fini incerti dove bisogni e interessi, il casannone del riscatto casa e capannone, volano nel cielo della «bulimia dei mezzi e l’atrofia dei fini» (Ricoeur) che mettono al lavoro il sentire e i desideri per darsi libertà.
Gli autori la definiscono la super società. Transizione epocale che non riguarda solo quelli dei capannoni ma anche la mitica classe operaia del ‘900 se uno dei padri dell’operaismo ha scritto: «il movimento operaio ha cominciato a perdere… quando ha cominciato a correre, e non dietro alla contraddizione, piuttosto davanti alla modernizzazione sempre crescente». E ci si ritrova tutti, compresi i mitici dell’intelligenza artificiale, ad interrogarsi con Aldo Schiavone sull’idea di progresso. Il libro ci sussurra che, siccome nessuno si salva da solo, non basta né l’estremismo dell’IO nel fare community di libertà, che non basta per le imprese l’estremismo del Pil, né quello della statualità rinserrata nei Sovranismi.
Governare e temperare, fermare l’entropia presuppone ricominciare ad interrogarsi sulla relazione. Cercando di rispondere alla domanda se «l’identità sta nel soggetto o nella relazione» (Levinas). Che nei miei microcosmi banalizzo spesso invitando i soggetti dell’impresa e dei lavori a rivitalizzare rappresentanze e corpi intermedi mettendo in mezzo tra potenza della tecnica e politica la relazione del fare società altra dalla super società. Nel libro la relazione diventa il percorso per generare la «libertà di ciascuno, la società, l’ambiente». Invitandoci in conclusione a «fare orchestra jazz… ascoltando la musica suonata dagli altri…di accompagnarla…aggiungendoci il nostro tocco originale». Speriamo di fare in alto e in basso musica adeguata ai tempi. Non dimenticando che il termine Gig Economy (economia del calesse) nacque in America durante la grande crisi denominando il lavoro a chiamata dei suonatori delle peripatetiche orchestrine jazz.