La metamorfosi delle utilities in industria delle reti
di Aldo Bonomi NT+ Enti Locali & Edilizia – Il Sole 24 Ore
Una volta al tempo del fordismo: al centro la fabbrica e il lavoro, ai margini la riproduzione della vita nuda che non era solo abitare, ma il riprodurre la vita quotidiana per avere luce, acqua, trasporti nelle company town, nelle città distretto e nei piccoli comuni. Tutto in una dialettica novecentesca dialogante tra municipalismo dei servizi e sviluppo dell’impresa. Nel nuovo secolo con il passaggio dal municipalismo al mercato con tanto di iperindustrializzazione dei servizi c’è una questione di cui si parla poco, ma è importante per lo sviluppo del paese: riguarda la relazione tra le utilities, le ex municipalizzate che gestiscono i grandi servizi a rete (acqua, energia, rifiuti, trasporti, ecc.), oggi nel guado della trasformazione in vera e propria industria delle reti.
La grande questione è capire quale ruolo le utilities possono giocare in rapporto al bisogno di investimenti in infrastrutture e beni collettivi che oggi le città, i territori e le filiere industriali manifestano per reggere la transizione in atto. Le utilities vengono da un lungo percorso di trasformazione, passato attraverso il ciclo delle aggregazioni degli anni ‘2000 e oggi sono un bacino estremamente diversificato, dalle aziende in house territoriali alle grandi quotate con ampiezza macroregionale e ambizioni nazionali. Le reti sono il capitale collettivo di una società, consentono il movimento, lo scambio delle conoscenze. Soprattutto le utilities nei settori cruciali dell’energia, dell’acqua e dei rifiuti, ma anche nei trasporti, costituiscono l’infrastruttura della vita quotidiana che tiene assieme la società.
È l’intelaiatura su cui si reggono coesione sociale ed economia, abilitando gli scambi e il mutuo gioco, non privo di conflitti, tra economia e riproduzione sociale. Non sfuggirà, spero, che sono il nodo gordiano della transizione ecologica: salute, ambiente, acqua, qualità dell’aria… Questo mondo ha di fronte a sé alcune grandi sfide. La prima riguarda la convergenza tecnologica delle reti: se prima ogni servizio collettivo era erogato mediante una propria infrastruttura, oggi c’è una tendenza all’integrazione tra reti tradizionali e piattaforme. Le reti infrastrutturali non solo sorreggono e potenziano imprese e comunità, ma le connettono anche trasformandole in nodi di una gigantesca rete di scambio. È una delle basi di una nuova geografia dello sviluppo fondata su piattaforme territoriali d’area vasta. Le utilities oggi sono organizzazioni ibride, portatrici sane di almeno tre identità: sono autonomie funzionali de facto che producono ed erogano beni di utilità collettiva; sono nuovi corpi intermedi nei territori e formano una poliarchia delle funzioni importante per la governance territoriale e delle città; sono però anche sempre più capitalismo delle reti, vera e propria industry sia nella versione a governance pubblica che in quella mista.
La sfida centrale per le utilities che sono un flusso che atterra o si solleva dal territorio rimanda al conciliare la remunerazione del capitale con l’investimento in progetti di sviluppo territoriale. Oggi le città, non solo le aree metropolitane ma anche le città medie, reggono se diviene possibile aprire una nuova stagione di investimenti in beni collettivi di cui le utilities non possono che non essere protagoniste. Oggi anche le città medie, le città-distretto, le aree metropolitane diffuse, hanno bisogno di investimenti integrati in beni collettivi riguardanti l’innovazione nell’energia, nell’acqua, nelle forme di mobilità ecologica, nella modernizzazione della gestione del traffico urbano piuttosto che dell’edilizia popolare, dell’infrastrutturazione civica, ecc.
Qui a me pare si dovrebbe aprire un campo di riflessione importante per cogliere l’esigenza di un nuovo posizionamento delle utilities tra economie dei flussi, città e bisogni sociali. Che sono cambiati dai tempi del fordismo. L’agenda interroga non solo il salario, ma la riproduzione della vita quotidiana dalla denatalità alla casa gentrificata e liquida, la mobilità accelerata e la qualità della vita per “vivere abitare e lavorare nelle piattaforme territoriali”. Forse potrebbe essere utile interrogarsi e promuovere un municipalismo di piattaforme di città e comuni adeguato ai tempi che interroghi partendo dai territori il capitalismo delle reti. Non è solo un problema di rigenerazione urbana ma di rigenerazione di una coesione sociale adeguata ai tempi.