Auspicando un umanesimo industriale
di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24Ore
Che fine ha fatto il capitalismo molecolare nel suo essere storia tramontata di un saper fare manifatturiero con il canto del cigno distrettuale nella metamorfosi da cigno nero della sua innovazione e terziarizzazione? Cultura formazione e ricerca (Deriveapprodi) titola il libro di Romano Alquati che racconta il confronto con i suoi allievi destinati nell’iperindustrializzazione dell’università a trovar lavoro in quel terziario di consulenza per innovare imprese e impresine. In quel pendolo che Alquati conosceva bene dal fordismo torinese al capitalismo di territorio. Mi piace immaginare Paolo Manfredi con il suo libro L’eccellenza non basta (Egea) uno dei suoi allievi per andare in città a fare il consulente di impresa. Due libri che sono un ossimoro se non li si legge avendo dentro il pendolo del territorio che oscilla dal contado manifatturiero alle città. Paolo, consulente un po’ riluttante ad assumere la categoria iperindustrializzazione di Alquati percependosi solo come uno studioso che osserva e raccomanda e non come un pezzo di «uomo artigiano» (Sennett) che cambia con la sua terziaria partita iva, arriva brodelianamente al territorio del rapporto città-contado collocandolo nell’ipermodernità di quel mundus furiosus della globalizzazione evocato da Tremonti in un suo libro. Con giornalistica precisione cita i flussi partendo «dal non c’è più la globalizzazione di una volta» sino a Greta Thunberg. Un salto d’epoca in cui la potenza dei flussi delineata nel libro è commisurata alla debolezza sistemica nell’interpretare le forme della modernizzazione. Da un lato, nefasto auto-disconoscimento delle radici del nostro modello di sviluppo, dall’altra rassicurante autocelebrazione delle eccellenze sopravvissute alle ondate di crisi del ventennio di inizio secolo. È una furia, quella dei flussi, che divora le basi della riproduzione sociale e istituzionale, di cui la crisi demografica rappresenta la drammatica cartina di tornasole, come evidenziato nel testo di Manfredi ed anche da Alquati quando scrive «Sulla riproduzione della capacità umana vivente».
Le scorciatoie delineate nel Piano A evocate dal libro, che presuppongono il totale adattamento alle logiche dei flussi con il «si salvi chi può», non possono che produrre secessione delle élite, imprese eccellenti disancorate dai territori, diseguaglianze sociali e territoriali, blocco della mobilità sociale e ricerca della rendita a scapito del lavoro. Giustamente Manfredi si interroga su un possibile piano B, che per fortuna interroga molti di questi tempi. Solo alcune raccomandazioni che mi derivano dalla sincretica lettura dei due libri. Cerchiamo di sottrarci alla potente narrazione da piano A non incorporando nel lavoro di consulenza e nel raccontare il piano B metodi da marketing o management e storytelling o da startup dei piccoli che ce la fanno in una pura logica di avanguardia di impresa dimenticando sempre la retroguardia.