Nel Piacentino tra iper modernità e integrazione
di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24Ore
Dal margine si possono cogliere alcuni dei grandi processi che nelle città stanno ristrutturando il mondo. A Cerignale, piccolo comune-polvere dell’Appennino piacentino, abitualmente si ritrova una comunità in itinere di sindaci imprenditori, ricercatori ed operatori sociali che ragiona dei nodi dello sviluppo e dei suoi limiti, di risorse critiche come acqua, bosco, verde, comunità. Abbassando lo sguardo si scorgono le valli piacentine con borghi e distretti culturali e del gusto interroganti il modello di sviluppo basato sui flussi del turismo dell’enogastronomia e un distretto del vino dove si collabora nella transizione quantità/qualità con Università di Pollenzo e Piacenza arrivando poi nella pianura del grande distretto agroindustriale del pomodoro.
Qui appaiono i capannoni che circondano Piacenza con la grande piattaforma della logistica industriale fatta di reti, lavoro, flussi e infrastrutture. Un vero nodo strategico che connesso con i territori limitrofi da Lodi ad Alessandria, fa da cerniera dei flussi delle merci tra Milano e Genova e il mondo. Partendo da questi capannoni quest’anno è risalito a Cerignale un impresario della logistica. Forse alla ricerca dell’identità di un tempo fresco di lettura dei Nonluoghi di Marc Augé dove si perde storia, relazioni e identità, è intervenuto da antropologo della surmodernità raccontando la ipermodernità di quella piattaforma che attrae e mette al lavoro quelli che contano, gli algoritmi e i contati del mercato del lavoro globale. Sarebbe piaciuto ad Augé l’uso del suo libro per raccontare la mela spaccata in due mondi di una composizione sociale di un 52% di facchini e camionisti e il resto di impiegati, tecnici, ricercatori nella filiera logistica in rapido cambiamento. È una neoindustria che associa il massimo dell’industrializzazione e dell’innovazione, della tecnologia e dell’automazione, al massimo della fatica nella condizione del lavoro e di durezza nelle relazioni sindacali. Infatti, la lunga fase di vuoto di rappresentanza ha portato alla crescita del sindacalismo di base con conflitti che ricordano gli albori del movimento operaio nell’ipermodernità. La spinta delle contraddizioni si incunea nel rapporto tra le grandi neofabbriche logistiche e il territorio, tra le imprese e la composizione sociale del lavoro che impiegano. Si impone un cambiamento nella governance della piattaforma e del parco logistico come l’uso delle false cooperative e del lavoro povero dentro e fuori il nuovo fordismo che tende a situarsi vicino alla logistica. Amazon a Piacenza ha quasi 2000 addetti, Moncler altri 1000. Una piccola Fiat che scava non nella company town Torino con le sue periferie, ma nel vivere e nell’abitare a Castel San Giovanni. Piccola città di 14mila abitanti, microcosmo in metamorfosi nel suo essere oggi città-distretto per capire tracce di un nuovo equilibrio tra fabbrica, società e territorio. Con la popolazione aumentata di quasi il 20% nell’arco del ventennio ultimo, attratta dalla trasformazione industriale, di cui quasi il 25% stranieri, ha oggi quasi il 40% degli addetti nella logistica, concentrati per il 77% in grandi fabbriche. Qui emergono i nodi irrisolti del modello di sviluppo basato sull’industria delle reti: se la fabbrica logistica oggi è un iper-luogo (non un non-luogo) che sta cambiando anche su spinta della dialettica sociale e della crisi ecologica con capannoni a sostenibilità ambientale, il vero problema è cosa accade fuori dalle mura dell’impresa, nei nonluoghi di socialità e integrazione, quando il lavoro torna a farsi vita quotidiana e composizione sociale e culturale della popolazione. Se così, il problema oggi è costruire i nuovi iper-luoghi della socialità fuori dalle mura delle aziende, perché l’innovazione obbliga non solo in fabbrica, ma soprattutto nel fare società. Pensare nuove istituzioni della comunità che per ora non ci sono, ma che siano all’altezza delle sfide di integrazione poste dalla crescita delle neofabbriche: erogare buoni servizi e costruire infrastrutture è importante, ma è la costruzione di comunità che fatica. E qui, diventano centrali due attori che dovrebbero stringere alleanza: da un lato, i corpi intermedi, rappresentanze sindacali che si battano per mettere in squadra luoghi e bisogni di vita con luoghi e bisogni della produzione; dall’altro lato, i sindaci che sono la frontiera istituzionale che prova ad affrontare i problemi e a cui oggi rimane il cerino in mano dell’integrazione e dell’accoglienza, nelle terre alte come nella piattaforma logistica.
Quest’anno a Cerignale si è dato un riconoscimento di empatia con i piccoli comuni delle terre alte a Marco Bussone e a Roberto Pella per le Comunità Montane e per l’Anci , a proposito di istituzione della comunità, ed a Suor Maria Giovanna delle Case della Carità che lungo la dorsale dell’Appennino Emiliano costruiscono luoghi di relazione e cura per chi è solo nel bisogno anziano, escluso, migrante… Forse sarà il caso nei prossimi anni di scendere a valle delle valli piacentine partendo dal margine per arrivare a Castel San Giovanni attraversando Piacenza, Lodi arrivando a Milano perché il nodo del modello di sviluppo e delle forme di convivenza non riguarda solo il margine, anzi è questione centrale.