Il lavoro di tessitura che tiene assieme il laboratorio Nord Est
di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24Ore
Sono interessanti e interroganti i numeri della produzione industriale e dell’export del nord-est che collocano questa piattaforma territoriale tra i primi territori che reggono l’urto della globalizzazione a pezzi. A qualcuno verrà la tentazione di rifare retoriche come quelle del “miracolo” italiano e poi del “calabrone”, alludendo al mistero che ha permesso al capitalismo di territorio italiano di svilupparsi contraddicendo le regole auree del fordismo. Mistero intorno a cui si è esercitata la scuola degli economisti cresciuta intorno alla figura di Becattini, che ben ha messo in evidenza il valore delle determinanti sociali che producevano «intimità dei nessi», impollinando di fiore in fiore le imprese distrettuali, facendone un racconto epico.
Ho avuto modo di fare un pezzo importante di strada professionale e umana con Enzo Rullani, tra i più illustri eredi di Becattini, al quale è stata dedicata un’importante giornata di studi presso l’Università Ca’ Foscari. Con lui ci siamo interrogati, sin dagli anni ’90, intorno al volo del calabrone, ne abbiamo seguito le traiettorie nel cielo della prima globalizzazione inclusiva e nella drammatica metamorfosi selettiva post 2008. Io da sociologo non convenzionale del territorio e lui da economista della conoscenza materializzata nei contesti e nelle persone. Prima ragionando insieme sulla parabola del “capitalismo molecolare” erede dei distretti e poi sul “capitalismo personale”, in cui si rinvenivano tracce dell’imminente affermarsi dell’economia della conoscenza globale in rete a base urbana. In quel passaggio siamo passati dalla metafora del calabrone a quella della tela del ragno, della ragnatela del valore, in cui l’intimità dei nessi va ricercata tra reti corte di prossimità e simultaneità delle reti lunghe. Simultaneità che nei suoi ultimi lavori sulla transizione digitale Enzo ha posto al centro, mantenendo lo sguardo strabico tra tecnologia e società. Che ne fa maestro del “ma non solo impresa”: aggiungendo le transizioni ambientale-urbana-logistica-sanitaria. Sono le vere sfide per il nordest della condensa manifatturiera nel farsi inclusivo e abilitante per fare antidoto alla “società del rischio crescente”.
Uno sguardo largo sulla transizione che non è mai solo questione limitata al rapporto stretto tra tecnologia e impresa, ma che ricomprende nel panorama la transizione urbana. Per poi fare di questo sguardo largo un paradigma e un passaggio stretto denominato capitalismo globale della conoscenza in rete oggi iper-attuale di fronte alla soglia dell’Ai. Alla luce del presente che aggiunge alla cognitivizzazione della transizione digitale l’industrializzazione dell’umano che ha impattato con gli ultimi flussi che si sono scaricati nei luoghi: la pandemia, la crisi ecologica, la guerra. Ci siamo ritrovati nel ripensare il concetto di prossimità e alla sua decostruzione non solo della specializzazione settoriale distrettuale immessa nella filiera del valore, ma anche nella disarticolazione della coesione sociale e delle specificità culturali che avevano definito le identità dei luoghi e nel ripensare alla radice il concetto stesso di prossimità: la comunità. Nel suo essere decostruita e inoperosa (Nancy), nel suo rinserrarsi da immunitas-communitas (Esposito) nel suo ripensarsi come comunità che viene (Agamben) per citare la filosofia che colloca questa parola antica nella transizione digitale dei suoi ultimi lavori, andando simultaneamente dai luoghi ai flussi e viceversa. Da qui il passaggio politico culturale che ci aspetta per andare oltre il localismo, alzando lo sguardo alla ragnatela del valore e allo spazio di posizione dell’urbano regionale dove tessere la tela tra piccoli comuni-città distretto-città medie e aree metropolitane, facendo del territorio uno spazio multi-livello. Passaggio che vale anche per la comunità che, nell’epoca dell’industrializzazione dell’umano per ridiventare comunità operosa, deve farsi comunità aperta, comunità larga che contamina il fare impresa, il fare rappresentanza, il vivere, l’abitare e lavorare sul territorio. Si ridefinisce lo spazio di posizione dei territori nel passaggio fordista dal capitalismo dei poli metropolitani a quello delle piattaforme. Che non sono un distretto più grande, ma nel nuovo paradigma sono uno spazio di rappresentazione che tiene assieme tre livelli: locale-metropolitano-globale. Siamo arrivati così al nodo delle politiche territoriali da re-inventare dove non basta più il “vivere di rendita” e non basta più stressare il made in Italy che vende nel mondo per attraversare la turbolenza del salto d’epoca.
Ci tocca tessere e ritessere territori distintivi con la tela del ragno che fa piattaforma innervata dalla ragnatela del valore del fare impresa in una nuova intimità dei nessi con l’urbano regionale della conoscenza. Il nord est con la sua città infinita ne è un laboratorio. Avendo chiaro, come ci invita a fare Rullani, che la piattaforma digitale, così come la piattaforma manifatturiera, entrambe innervate nella ragnatela del valore, non avrebbero da tessere reti lunghe senza la costruzione della piattaforma sociale che viene prima dell’economia e della tecnica.