Come sarà difficile capire e governare “le quattro Lombardie”
di Maurizio Crippa Il Foglio
I vent’anni che hanno cambiato la regione. Milano non è il solo centro. Le forze centrifughe. Le idee di Aldo Bonomi
Si avvicina la fine di una campagna elettorale più noiosetta del previsto (la grande resa dei conti tra cittadini e politica del dopo-pandemia: non pervenuta), nessuno dei candidati che sia uscito dal compitino. E il primo esito messo in conto dagli analisti (e dai partiti) potrebbe essere un balzo in avanti dell’astensionismo, già al 30 per cento in Lombardia alle scorse politiche, che potrebbe crescere verso il 40 per cento: e sarebbe a quel punto il primo partito. Le cause generali sono ovviamente molte e note; ma ce n’è forse una specifica e che i candidati non hanno preso in considerazione: ed è la non-capacità di parlare a un territorio estremamente differenziato, a strutture socio-economiche molto distanti tra loro, portatrici di necessità e aspettare diverse. Anzi, prima ancora di “saper parlare” a questi mondi diversi, c’è proprio una difficoltà a saperli “vedere”. La Lombardia non è un posto solo, che parla una lingua sociale culturale e politica unica. Certo, esiste una “koiné” antropologica lombarda ma, come va spiegando da tempo un sociologo come Aldo Bonomi, attento ai luoghi e ai flussi/luoghi delle persone e delle attività economiche, gli anni recenti hanno disegnato (o addirittura hanno tracciato i confini?) di “quattro Lombardie”. Bonomi, direttore del centro studi Aaster, ne parla da ben prima della pandemia, che pure ha pesato nel ridefinire la regione. Ne ha parlato, si era all’inizio della campagna elettorale, al Festival Città Impresa di Bergamo e ci tornerà anche in un libro di prossima uscita, più incentrato su Milano. Ed è proprio da Milano, dalla sua ennesima nuova fase con qualche recente difficoltà, che si può partire per questa breve segnalazione al prossimo governatore lombardo, chiunque sarà: ecco quali sono le quattro diverse Lombardie che dovrà non solo amministrare, ma per prima cosa interpretare.
“Da sempre Mediolanum, città di mezzo”, scrive Bonomi, e ora “città estesa urbano-regionale, ha vissuto negli scorsi vent’anni una “salita verticale della piattaforma metropolitana”. Tra dati reali socio-economici e una forte volontà di autorappresentazione, la “piattaforma milanese” è diventata la “porta globale dell’economia della conoscenza a base urbana”, ha scritto Bonomi sul Sole 24 Ore. Ma oggi non può più essere una “città-stato” chiusa, o che espelle giovani e ceti medi, una “città anseatica”. Deve saper essere “città-regione”, assieme innanzitutto ai comuni di un’area metropolitana che ormai domina e concentra l’intreccio tra tecnologie di rete, saperi e cambiamento e attrattività sociale. Poi, oltre un confine invisibile, “in accelerata metamorfosi” c’è la Lombardia pedemontana, la regione delle fabbriche e delle connessioni tra territori e media e piccola impresa che va da Varese (Malpensa) al distretto brianzolo e lecchese-comasco per passare a Bergamo (Orio al Serio, ormai uno dei maggiori aeroporti italiani) fino a Brescia e al basso Garda. Territori che hanno bisogno di reti, infrastrutture, velocità amministrativa e “porte” verso l’Europa. E che sono passati in fretta dalla “operosità diffusa da capitalismo molecolare”, a un capitalismo intermedio e interconnesso “oltre le mura” dell’impresa. L’asse portante insomma di economia, territorio e relazioni sociali.
Poi c’è la Lombardia alpina e tranfrontaliera, dall’Insubria alla Valtellina alla Val Camonica fino ai confini col Trentino. Dove l’accessibilità e i flussi turistici e con i paesi di confine sono risorse essenziali. Ma lo sono – e lo diventeranno sempre di più, la crisi climatica ed energetica lo dimostra – anche le risorse naturali: acqua, idroelettrico, polmoni verdi a ridosso della pianura e agricoltura di qualità e di tutela territoriale. Una regione che (le Olimpiadi lo dimostrano) ha bisogno di una particolare tutela, date le molte fragilità di ecosistema anche demografiche. Ma non per questo da trasformare in riserva indiana protetta.
Infine la quarta Lombardia è la Bassa padana, da sempre territorio di un’agricoltura forte ma che ha vissuto due grandi trasformazioni. Qui dominano ancora le grandi filiere agroalimentari, alle prese con la transizione ecologica che ha anche impatti pesanti: basti pensare alla zootecnia. Ma questa sub-regione da un lato è diventata argine e confine dei grandi modelli metropolitani: Pavia, Lodi, Crema sono oggi parte del sistema della “grande città infinita” padana, con problemi abitativi, di trasporto e di servizi di tipo urbano. E dall’altro queste zone, fino al basso Veneto e all’Emilia, sono la grande piattaforma nord-italiana della logistica, l’enorme “stazione di posta” tra l’Europa e la penisola. E qui i trasporti, ma anche l’attenzione alla qualità del lavoro, hanno priorità evidenti.
Quattro Lombardie che possiedono una forte koiné, ma che rappresentano anche popolazioni e dinamiche demografiche e abitative assai diverse. Dalla cima di Palazzo Lombardia i confini si possono solo intuire. Ma questo rende più difficile attuare scelte unificate e rigide per le politiche strutturali: basti pensare alle diverse necessità poste da queste aree alla riforma del sistema sanitario, ma lo stesso vale per il sistema delle infrastrutture, ancora molto lacunoso. A costo di essere paradossali: più che l’autonomia differenziata tra regioni, alla Lombardia servirebbe un sistema di autonomie interne. Buon lavoro al governatore che verrà.