Politiche dal basso per generare capitale sociale sul territorio
di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole24 Ore
Di partite Iva si parla molto in relazione al fisco e poco per le trasformazioni della composizione sociale. Per questo sono tornato a Cabiate, comune di 7.500 anime, tra Meda e Mariano Comense che, nell’indistinto della città infinita, con i loro 50mila abitanti la tengono in mezzo nella “città distretto” del capitalismo molecolare brianzolo artefice della cetomedizzazione di piccola impresa tra gli anni ’70 e ’90. Fino ai primi anni 2000 aveva la più alta densità di imprese della provincia: ancora oggi ci trovi una partita Iva ogni 10 abitanti. Ma se parli con il sindaco ti racconta di esodo dal lavoro e desertificazione del commercio di prossimità. Nel centro dello storico distretto del mobile e del lavoro molecolare hanno impattato in profondità la terziarizzazione e l’estendersi della grande piattaforma urbano-regionale di Milano. Ancora oggi domina il paesaggio umano un’antropologia dell’abitare fondata su case basse, villette con bottega artigiana, segno tangibile dell’ascesa del blocco sociale di lavoro autonomo di prima generazione. Una crescita affluente di capannoni e di popolazione che si blocca con la prima gelata del 2008-2009. Sono gli anni della selezione darwiniana sino al Covid, con il declino del tasso di generatività di nuove imprese nei settori tradizionali. Oggi quel mondo che aveva trainato la crescita si è fratturato: il nocciolo dell’artigiania di prima generazione, custode del saper fare ma in contrazione di lungo periodo; il nucleo di autonomi e Pmi di seconda generazione; la desertificazione commerciale .
Qui nel post Covid, come ci racconta il sindaco, le ultime chiusure di piccoli esercizi sono avvenute non solo per la concorrenza di Amazon, ma perché una generazione di micro-imprenditori è giunta a fine ciclo. L’invecchiamento della popolazione, l’urbanizzazione come stile di vita e l’attrazione del lavoro terziario nella Milano che “seduce e respinge” ha indebolito la comunità come forza operosa e il lavoro viene drenato nella sfera di una economia della conoscenza globale in rete che risiede nei centri metropolitani. Il problema di fondo sta nello spezzarsi delle catene di trasmissione del fare impresa tra generazione e famiglie. La forza del capitalismo molecolare brianzolo stava nell’intreccio tra comunità operosa dell’impresa e comunità del vivere territoriale. Siamo tutti appesi a guardare i cambiamenti del lavoro con la settimana corta a parità di salario o gli esodi dalle grandi organizzazioni: manca forse la fotografia di cosa significhi l’esodo dal lavoro in forma molecolare fuori dal perimetro delle grandi strutture pubbliche e private, ma dentro la composizione sociale della fabbrica diffusa e molecolare, nei piccoli territori come Cabiate.
A mettersi in mezzo rispetto alla metamorfosi, ci ha provato il Comune che in rete con la Confcommercio si è posto come agenzia di attrattività, con un sistema di incentivi (5mila euro) ad aprire nuove imprese commerciali sui bisogni della comunità e nell’accompagnare investimenti di innovazione delle imprese già presenti. Per darsi una identità che vada oltre l’indistinto cartello autostradale che “segna il comune” ci si rivolge ai giovani per delineare futuro. Poca cosa, si dirà. Ma sta insieme a una politica di programmazione del territorio fondata sulla rigenerazione del modello casa-bottega, sulla richiesta di qualità e utilità nella rigenerazione delle aree, sul blocco del consumo di suolo. Una comunità che ha ancora attive risorse di capitale sociale e coesione, con un associazionismo vivo ma frammentato, che per tradurre in operosità la metamorfosi ha necessità di istituzioni capaci di mettere in gioco le risorse del locale su una dimensione di piattaforma metropolitana. Sul territorio si vede un emergere di iniziative, patti, cooperazioni tra enti locali, rappresentanze, gestori di reti che sono forme di innovazione istituzionale che provano a rimettere in moto una capacità autopropulsiva dello sviluppo locale. Quando si parla di politiche industriali si discute per lo più di macchine e algoritmi. Sono temi fondamentali, ma politiche industriali e di sviluppo sono anche quelle che dedicano attenzione al ricostituirsi delle basi antropologiche e sociali dell’operosità, alla capacità dell’impresa come storia di vita di reggere l’innalzamento della soglia del rischio dovuta alle trasformazioni tecnologiche e alle turbolenze geopolitiche. L’impresa può essere rigenerata come istituzione diffusa di mobilità sociale oltre che accompagnandone la capacità di assorbimento della potenza della tecno-scienza, affrontando i nodi di una crisi culturale e di senso del motore sociale ingrippato. Il progetto Comune-Confcommercio aiuta a contrastare la desertificazione e a rigenerare capitale sociale sul territorio. Per il dibattito sull’autonomia e per le elezioni si guarda in alto alla Regione. Credo serva anche abbassare lo sguardo alle piattaforme del vivere e dei lavori dove i sindaci cercano di fare comunità operosa.