Una idea di futuro per dare il senso al salto d’epoca
di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24Ore
In un articolo recente sui nodi dei lavori ho usato la metafora delle due carovane che attraversano il deserto in direzione ostinata e contraria: una in esodo dal lavoro, l’altra alla ricerca del lavoro. Con fatica verso l’altrove, passo dopo passo, nella sabbia del deserto. Immagine che mi ha evocato l’uso di questa metafora anche per capire il turbine della tempesta di sabbia che investe le oasi di composizione tecnica produttiva che caratterizzano le attività economiche che resistono, facendo impresa nelle oasi produttive del nostro Paese. Metafora utile se pensiamo alla tempesta perfetta che con il costo dell’energia ci ha sorpreso appena rimessi in cammino dopo la pandemia.
Metafora interrogante chi fa rappresentanza nelle carovane dei lavori e anche chi rappresenta le oasi dei settori produttivi e le politiche e le istituzioni che ci hanno fatto intravedere il miraggio del Pnrr per rimetterci in cammino per attraversare il deserto. Infatti siamo in pieno dibattito sul quanto e sul come utilizzare l’acqua del Pnrr per abbeverare imprese e famiglie con la gola arsa dalla sabbia dei costi energetici e quanta acqua tenere per raggiungere la terra promessa del digitale e della conversione ecologica per evitare la desertificazione che avanza. Dibattito non solo economico, infatti rimanda a scelte politiche in cui, se stiamo alla metafora delle carovane e delle oasi, la frammentazione della composizione sociale e i tempi elettorali vicini inducono messaggi per le tante tribù in esodo e metamorfosi.
Le tribù? Non sembri regressivo l’uso di una terminologia antica per definire quello che non vediamo distratti dai social dove rincorriamo lo sciame iper moderno che si aggrega nella rete verso il metaverso. Le incontri andando per microcosmi definite dall’alto come “il partito delle villette” verso il miraggio del 110% o come “gli spiaggiati” in difesa della battigia dalla direttiva Bolkestein e poi in una strana evoluzione dei gilet gialli come in Francia che erano partiti dal caro benzina per arrivare attraversando la pandemia a sincretismi arditi tra libertà e caro bollette, o addirittura li vedi sul ponte Canada Usa come forconi inbufaliti bloccare con i loro bisonti la filiera dell’automotive. Evitiamo di trattarli come folklore per la società dello spettacolo o ancor peggio, come terreno di caccia per una politica in cerca di capitribù.
Fa poco fine ma credo sia utile cercare dentro per capire meglio queste tribù. Non fosse altro per il loro evidenziare temi non banali come quello della casa, al di là delle villette, dell’edilizia con il suo boom e morti sul lavoro comprese, o quello del turismo sulle nostre spiagge da modernizzare, o come quello delle nuove differenze territoriali tra città e contado sino al tema della logistica pesante e minuta fatta da autotreni e biciclette dei rider.
Altro che non ti curar di loro ma guarda e passa. Anche perché queste fenomenologie di malessere delle tribù del contado, rischiano di saldarsi con il malessere delle citta-oasi dove le tribù si scompongono in “bande giovanili” composte dai tanti Neet disillusi che nemmeno si mettono in marcia per mangiare futuro; si alimentano della rabbia del disincanto. In aumento nelle seconde e terze generazioni di una immigrazione sempre fatta volare nella bolla calda dello scontro politico e scaricata a terra solo come esercito di portatori d’acqua.
Mi si dirà che dobbiamo occuparci delle oasi dove per fortuna si continua a fare imprese che alimentano numeri e partiti del Pil. Anche queste investite dalla tempesta elettrica dei costi e per citarne una, dalla metamorfosi del fare l’automobile elettrica per andare verso la terra promessa guardando più che al 110 al Chips Act per una Europa competitiva nel digitale mentre nel deserto mancano i chip per le automobili in produzione. Paradossi dell’iper modernità che ha già attraversato le oasi distrettuali, selezionando i pochi che hanno fatto piattaforma produttiva in filiera con altre oasi e tanti si sono persi nella sabbia del cambiamento.
Più che una società liquida mi pare di sabbia. In attesa della manna che storicamente si legge nel suo duplice significato di “alimento divino” o cibo di sopravvivenza. Tale appare il Pnrr, quando non viene celebrato come il vitello d’oro, nell’esodo delle tribù. Più che danzare ci tocca una parola antica: la fatica per rimetterci in cammino. Fatica del tessere e ritessere dai piccoli comuni alle città medie ai distretti produttivi alla grande oasi urbana, tutte oasi ove più che il rinserramento serve il rimettersi in cammino. Non cercando il capo tribù o adorando il vitello d’oro, ma facendo carovana.
Più che capi tribù ci servono carovanieri che accompagnino l’esodo, ridando speranza alla fatica. Metafora di parti sociali e di rappresentanza che, più che fermarsi ai tavoli delle oasi novecentesche, sappiano dar senso alla fatica del salto d’epoca con un’idea di altrove che ci aspetta. Si spera.
Ma questo sarebbe compito di una politica in grado di fare raduno delle tribù e di ridare senso a una nazione in cammino verso una terra chiamata Europa.