I musei del post Covid e la forza dei legami con società e territorio
di Aldo Bonomi Microcosmi – Il Sole 24 Ore
Nel suo essere flusso, la pandemia ha impattato e interrotto il turbinio della “società dello spettacolo” e disvelato l’esistenza di una moltitudine che definiamo “lavoratori dello spettacolo” nell’impotenza dei codici novecenteschi del lavoro di leggere i mutamenti nella composizione sociale. Sono tanti quelli che “lavorano comunicando”: Federculture che rappresenta le “fabbriche” dove molti lavorano, fabbricati che chiamiamo musei, stima siano più di 800mila dentro e fuori le mura senza contare gli invisibili nel precariato dell’eventologia e dello spettacolo. La cultura, nel suo essere istituzione che media tra contemporaneità e storia, si è trovata scossa e sfidata dalla pandemia, a partire dalla chiusura dei luoghi della relazione sociale con i pubblici, dai teatri ai cinema, dalle mostre ai musei. Soprattutto questi ultimi sono istituzioni fondamentali, parte di una infrastruttura leggera che permette alle società di “ricordare il futuro”, di non perdere la propria ombra e l’identità nel tempo e nello spazio, nelle città come nei territori. Dai grandi musei urbani fino ai piccoli musei contadini dei comuni-polvere, ci ricordano quanto abbia contato per il Paese il rapporto tra le lunghe derive della civilizzazione materiale dei luoghi e le identità territoriali e nazionali: il museo media tra Zivilization e Kultur.
Sui 3.882 musei e collezioni attivi nel 2020 in Italia, si è abbattuta una tempesta che però non lascia sul terreno soltanto detriti, ma tracce di una evoluzione profonda, di cui mi pare interessante illuminare la parte che attiene al rapporto con la società e il territorio. Privati della presenza del pubblico fisico, i musei hanno dovuto muoversi lungo due direzioni intrecciate: da un lato, il digitale e il rapporto con la simultaneità e la riproducibilità tecnica del contenuto culturale; dall’altro lato, il “ritorno” al territorio, una riscoperta della prossimità e del rapporto con le proprie comunità. Diventando più inclusivi e aperti, rifocalizzandosi meno sul consumo e più sul ruolo di ricerca e di capacitazione sociale e culturale. Nella crisi dello spazio pubblico, i musei hanno saputo esprimere una capacità di resilienza non di poco conto: aiutata certo dalle coperture pubbliche, ma molto anche da reti di sostegno sviluppate in autonomia e radicate nei rispettivi contesti territoriali. Scoprendo nella relazione tra museo e territorio di essere spazio di posizione e spazio di rappresentazione. Metamorfosi che riguarda istituzioni museali nei grandi contesti metropolitani, attrattori di flussi e nodi di uno spazio internazionale di città-mondo, che competono e scambiano in questa dimensione e sono un ibrido tra esposizione della storia e ipermoderna economia della conoscenza globale in rete. Un museo che entra nell’iperindustria dei saperi, mediando tra la potenza della tecnica e la società, sviluppando umanesimo industriale e tecnologico.
Nell’Italia delle piattaforme produttive, delle città medie e d’arte, è diffuso un modello di museo-fondazione civica che ha scavallato la pandemia, facendo leva sulla forza delle sue reti di scambio e radicamento con le forze produttive e il mondo del capitalismo intermedio. Musei che a partire da un grande patrimonio storico-artistico, sono parte di un tessuto di corpi intermedi, e con i musei d’impresa riescono a includere nella propria costituency la classe dirigente dell’industria, perché la capacità di rappresentare nel mondo il territorio attraverso la cultura alta, è una risorsa fondamentale per la stessa reputazione e competitività del mondo produttivo. Il museo produce cultura e produce beni collettivi territoriali immateriali di rappresentazione, ricerca, identità. Come nel margine delle piccole comunità-polvere, un modello di museo etnografico cresciuto moltissimo negli anni, nato per conservare il sedimento antropologico dello scheletro contadino italico. Un museo della Zivilisation materiale e simbolica, che raccoglie in basso saperi locali e culture popolari, museo delle virtù civiche che sta evolvendo in un modello di rete comunitaria, di musei territoriali ed ecomusei partecipativi. Lavorano nel margine territoriale sulla rivalorizzazione del vuoto antropico e del rapporto ambiente-salute trainata dalla pandemia. Un museo a rete, che parte dalla conservazione di oggetti e saperi locali e popolari per ricostruire filiere di economie locali e il nesso tra terra/natura e territorio come costruzione sociale di borghi, mestieri riscoperti e paesaggi.
A chi ne sa più di me tocca fare catalogo tra Kultur e Zivilisation: dai grandi musei a quelli delle città medie sino al pullulare dei musei sulla civiltà contadina, passando per i musei di impresa che lasciano traccia di sé sino ad arrivare al tema della conversione ecologica come museo di speranza. Teniamone conto. Il fare museo è parte di quella dimensione di costruzione sociale e rappresentazione del territorio nel suo mettersi in mezzo tra i flussi della Zivilisation che si fa Kultur.