Il salto d’epoca arrivato con la pandemia
di ALDO BONOMI Microcosmi – Il Sole 24Ore
Avrei preferito non segnalare così il libro di Michele Mezza Il contagio dell’algoritmo “(Donzelli). Me lo tenevo come rivisitazione critica del lockdown, come riflessione utilissima per lo smart working che ci aspetta, ma non come lettura necessaria della simbiosi che Mezza evoca tra viralità del morbo e viralità della rete.
Può sembrare futurologia che induce «l’apocalisse culturale» a cui l’autore, osservatore critico del tecnopocene, a volte ricorre per farsi capire e per allertarci. Ma non è il caso di questo suo libro come precisa subito mettendosi in mezzo alle due viralità: «Il virus si diffonde ovunque, come la rete. È potente come la rete. Il vero potere è oggi nelle mani di chi cattura e gestisce le nostre tracce online, e se si tratta dei tre o quattro colossi del web la democrazia latita. (…) È urgente riconsegnare il potere al pubblico, affidare la gestione dei nostri dati alle istituzioni e parallelamente accrescere le nostre competenze digitali».
E, a proposito di competenze, se ci aggiungiamo il balzo temporale indotto dalla pandemia verso la remotizzazione delle forme del lavoro e del comunicare, il libro diventa traccia di riflessione verso un umanesimo digitale necessario. Perché come si spiega in un capitolo, introduce nel rapporto tra verticalità dei flussi ed orizzontalità dei territori, il paradigma tra «calcolanti e calcolati». E non è un caso se in questa dialettica tra il potere dei calcolanti ed i segnali deboli dei calcolati Mezza fa riferimento al lavoro in orizzontale tra i calcolati di Vo’ del professor Crisanti (che interviene con un suo contributo al libro) e mette a confronto il delta del Po con la verticalità del duomo di Milano non sottraendosi al dibattito tra modello veneto e modello lombardo, che non è una questione matematica, ma di approccio ai segnali deboli ma potenti del territorio. E qui, da territorialista di microcosmi mi ritrovo con Mezza dalla parte dei calcolati, perché il territorio è un centro di elaborazione e produzione di dati in grado di trasmettere input e non solo registrare istruzioni dall’alto come flussi verticali che in molti casi nella pandemia non hanno colto o dimenticato i segnali deboli ma vitali della medicina di territorio.
Dibattito aperto che rimanda al sottotitolo del libro «Le idi di marzo della pandemia» che non è solo un rimando ai giorni cupi e tragici del lockdown. L’autore ne fa metafora storica per tutto il libro quasi volendoci dire che non basta guardare alla congiura contro Cesare il tiranno per capire, ma che bisogna guardare per capire il salto d’epoca al venire avanti ed al dispiegarsi, dopo, come un cigno nero, dell’impero di Ottaviano Augusto. Non lo scrive, ma il suo ragionare con abbondanti citazioni storiche ci par dire: guardate che non basterà sconfiggere il virus tiranno con il vaccino, il salto d’epoca è già in atto.
Per chi non avesse capito Mezza ci dà i numeri: ai primi di luglio la Borsa di New York segnava incrementi per le principali Compagnie della Silicon Valley attorno al 30%, con punte per Amazon del 50 per cento. Una sola piattaforma marginale fino a febbraio come Zoom, ha raggiunto una capitalizzazione equivalente alle prime sette Compagnie aree del mondo. Guardiamo agli scenari in atto nel tecnopocene tra Usa-Cina, a quale ruolo per l’Europa, a cui guardiamo non solo per il recovery fund, ma anche per una geopolitica degli algoritmi. Questioni grandi da impero più che da territorio o da microcosmi.
Guardiamo tutti in alto, non solo le borse, alla positività del presidente Trump. Mezza ci induce ad un’ampia rivisitazione del pensiero storico filosofico Europeo da immettere nello scenario ipermoderno che ci aspetta. Sono convinto che, di fronte alla potenza dell’algoritmo, serva più che mai filosofia e politica perché weberianamente, l’innovazione obbliga ad adeguare come ci insegna Cacciari nel Il lavoro dello spirito la nostra vocazione ed il fare professione. La vocazione rimanda al fare civilizzazione, al far prendere coscienza ai tanti “contati”, il fare professione le competenze tecniche-scientifiche rimandano ad un umanesimo digitale necessario per evitare lo strapotere dei “calcolanti”. Nel salto d’epoca il territorio è lo spazio della civilizzazione ove immettere speranza di fronte agli scenari evocati da Mezza. Già nell’altro secolo abbiamo metabolizzato la potenza verticale-fordista, ridisegnando lo spazio e le forme del produrre. Nei giorni del “contagio dell’algoritmo” ridisegnando la geografia del male, si tracciano distretti sociali evoluti e quartieri nelle città ove contarsi e ridisegnare una medicina di territorio per contrastare il virus e ricominciare a tracciare economie.
È una metabolizzazione diffusa nella coscienza di luogo e nel vivere la città da immettere non solo nella progettualità delle risorse europee, ma anche in un umanesimo digitale adeguato per i tanti contati che chiedono “ai pochi sorvolatori che contano” di scendere sul territorio.