La lezione delle 3t (+1) di Torino
di Aldo Bonomi – Microcosmi IlSole24Ore
Pochi luoghi più di Torino e il grande Nord-Ovest sembrano adatti per descrivere la metamorfosi. Qui, dove massimo è il pericolo, occorre cercare anche ciò che salva. Guardando alla metamorfosi delle ex-Ogr, le Officine ferroviarie dove i mattoni scuri dell’atmosfera industriale sono riusati come cornice per cultura e innovazione. Un grande investimento della Fondazione Crt finanziato senza intaccare un euro del patrimonio gestito. Qui si è tenuta l’assise conclusiva di un percorso – che è stato definito Stati generali della Fondazione Crt – di ascolto e di progettazione degli interventi sociali, culturali, territoriali dell’ente. È con spirito interrogante che la terza maggiore Fondazione italiana ha dato vita a un percorso maieutico, scartando dalla tentazione di elaborare l’ennesimo repertorio del declino e delle isole d’innovazione (in una regione che primeggia tanto nell’uno quanto nelle altre).
Consapevoli che disegnare il futuro sia già in qualche modo “coltivarlo”. Un percorso basato sull’ascolto, che ha portato un team di ricercatori “scalzi” e “quadri” interni a dialogare con oltre 700 protagonisti della vita sociale ed economica del Piemonte e della Valle d’Aosta, coerente con l’obiettivo di fare della Fondazione una comunità di dibattito “pubblico” sui territori e sulla società locale.
Il messaggio, prima praticato che teorizzato, è concepire la Fondazione come tassello di una nuova “società di mezzo” piantata nella crisi dei corpi intermedi. E dall’aspettativa di qualcosa di più solido che puntelli tanto i “muretti a secco” della sopravvivenza quanto l’innovazione 4.0. Val la pena ricordare che il sapere territoriale costruiva muretti a secco con le pietre di scarto, metafora del welfare di comunità e con la tecnica di una manutenzione del territorio che ha fatto del paesaggio delle Langhe e dei suoi vigneti un Patrimonio dell’umanità. Fare società di mezzo implica ricercare filamenti di nuova istituzionalità: luoghi dell’amministrare e del volontariato territoriale nelle periferie, una parte di rappresentanze sociali resilienti; i frammenti di Terzo settore capace di produrre dialogo tra istituzioni, mondo economico, cittadini.
Per usare il mio linguaggio, fare società di mezzo è chiamare a raccolta una comunità di cura “larga”, che include le rappresentanze del lavoro e le parti sociali, che interroghi la comunità operosa dei produttori per rigenerare valore insieme economico e sociale, e svuotare il bacino del rancore, gonfiatosi con la destrutturazione dei vecchi agglomerati di classe e il rinserramento atomistico. Gli Stati generali ci parlano della necessità di tenere insieme una via metropolitana e una via territoriale dello sviluppo, combinare la città smart dell’hi-tech e delle reti lunghe con la società intermedia poggiante su un capitalismo di territorio rinnovato nei presupposti economico-sociali, e che oggi incorpora capitale simbolico, turismo sostenibile, agroalimentare. Fino alle terre del margine, dove crisi demografica e climatica rischiano di produrre effetti esiziali sul presidio antropico, ma da cui emerge una mappa di energie vitali e di pratiche di comunità da cui apprendere.
Non c’è (non può esserci) smart city senza smart land, ma neanche senza città sociale e di “contenimento” dei lasciti della crisi, che qui si è intrecciata più che altrove con la fine di un paradigma (il fordismo) senza che ne emergesse uno altrettanto in grado di includere. Gli Stati generali consegnano alla Fondazione tre agende con cui misurarsi, tre T di segno diverso da quelle stilizzate da Richard L. Florida quando la globalizzazione sembrava dischiudere un futuro tecnologico al servizio della tolleranza e del talento. La prima è la Tecnologia, dove la questione è superare una visione ancorata sugli investimenti nei settori capital intensive e science-based.
Il 4.0 da solo non fa società, ma può essere al servizio di un nuovo equilibrio tra innovazione, inclusione e ambiente. La seconda è il Territorio, inteso come costruzione sociale, verso una crescita diversamente declinata, di rinnovamento del tessuto manifatturiero selezionato dalla crisi e rimodellato dalle tecnologie, a cui affiancare economie del benessere e infrastrutturazione leggera delle città. La terza, che tiene insieme le prime due, sono le Tessiture sociali, il sostegno alle reti di prossimità, della comunità educante, di supporto a fronte dello spaesamento dei giovani, la povertà educativa e l’inserimento delle fasce deboli, il ripopolamento dei territori vulnerati, periferie metropolitane e le aree interne. Con una quarta T, la Trasversalità, basata sull’urgenza dell’investimento educativo, la costruzione delle capacità individuali e collettive necessarie alle tre agende descritte. Segnali che provengono da un Nord-Ovest che può, per una volta, essere descritto in modo ottimistico, guardando alla sua capacità di mobilitare partecipazione e passione civica, progettazione sociale, “coscienza di luogo”.