Nel vicentino le reti corte sono al femminile
di Aldo Bonomi – Il Sole 24Ore
Per continuare a ragionare di umanesimo industriale occorre guardare non solo all’innovazione “alta”, spinta dalla tecno-scienza e dagli algoritmi, ma a ciò che sta accadendo all’antropologia profonda e di lunga durata del fare impresa. Se rimettiamo al centro il cambiamento profondo di ciò che resta del capitalismo molecolare e la sua evoluzione, vale la pena di monitorare ciò che sta accadendo a Nord Est. Vicenza in particolare, al centro del sistema della pedemontana veneta, è una piattaforma produttiva che continua a vantare numeri da piccolo stato: 100mila imprese (all’incirca una ogni 8 abitanti) di cui il 20% femminili, terza provincia italiana per export, dietro solo a Milano e Torino e oltre 13.600 imprese manifatturiere.
Se n’è parlato a Thiene al “Make in Italy”, festival organizzato dalla rete di intelligenza diffusa di VeneziePost e dalla locale Cna, piazzato nell’Alto Vicentino dove opera ancora il 50 % delle imprese, sulla via-piattaforma Pedemontana. Rete di prossimità della metamorfosi del saper fare e delle imprese che “non volano”, che non si spostano sulle reti lunghe nel mondo, ma continuano a operare sulle reti corte del territorio. Per coglierne dinamiche e ruolo, è utile ricorrere a quelle reti associative che per tutta un’epoca hanno accompagnato la crescita delle molecole d’impresa e che oggi stanno vivendo una metamorfosi strutturale. Non è un caso se si rinnovano le modalità del fare rappresentanza creando le cosiddette Aree di sviluppo associativo (Asa) per mantenere la capacità di articolare l’antropologia produttiva e la rete di territorio sostenendo la voglia di fare impresa in tempi difficili, come mostrano quelle oltre 1.200 imprese artigiane venute meno in cinque anni tra 2013 e 2018.
L’aspetto più interessante in questo tentativo di riarticolare le reti di intermediazione, sta proprio nella composizione sociale e imprenditoriale del gruppo dirigente delle Asa. In un mondo tradizionalmente maschile come quello delle organizzazioni artigiane, con la presidente provinciale sono cinque donne che esprimono la leadership di territorio. Le loro storie d’impresa e di vita ci permettono di leggere evoluzione e problemi dell’impresa radicata. C’è la piccola impresa di terza generazione che fa finissaggio d’alta qualità per i grandi brand della moda, riuscendo a collocarsi in un punto della filiera del valore strategico per l’accesso al mercato (Cinzia). Ma anche l’impresa di pulizie di macchinari industriali che ha evoluto la sua attività attraverso tanta formazione tecnica per tenere dietro allo sviluppo tecnologico e oggi poter operare su macchinari e strumentazioni di ultima generazione (Antonietta). C’è anche un’impresina che prova a intervenire nella trasformazione del welfare gestendo 4 asili nido a cavallo tra territorio e servizi per le aziende (Veronica). Alla femminilizzazione dell’associazione contribuisce però anche il manifatturiero classico, con un’azienda di 10 addetti che in quel di Valdagno fa lavorazioni meccaniche di precisione per edilizia ed elettronica industriale (Nadia) e un’altra che con soli sette dipendenti spazia nei settori energia, alimentare, farmaceutico, macchine utensili e aerospaziale (Anna). Fino ad arrivare al piccolo mobilificio quasi centenario che grazie all’investimento in tecnologia e saperi è riuscito ad acquisire efficienza industriale pur rimanendo con 10 addetti (Magda).
Un rinnovamento fondato sulla capacità di gestire il passaggio generazionale, aprirsi alla questione di genere, tenere coesa una comunità d’impresa e del lavoro che della stabilità e della continuità ha fatto un fattore distintivo. Mostrando che, seppur piccoli e radicati, si può innovare e padroneggiare le tecnologie, mantenendo condizioni di lavoro stabili. Una scelta che se moltiplicata crea la preziosa esternalità della coesione sociale. Il ’900 alla sua chiusura ci ha regalato due grandi questioni: l’ambiente e la questione di genere. Sembravano temi lontani dal mondo delle imprese. Questo microcosmo vicentino ci mostra invece come la questione ambientale sia ormai sempre più incorporata nella comunità operosa dell’impresa e come, proprio nella terra in cui si è fatto più clamore sul tema della famiglia, la questione di genere al di fuori dei clamori politici stia scavando nelle forme economiche e sociali. Sono cinque donne capitane d’impresa che mi piace pensare come tante “Greta e Carola” al timone dei loro piccoli vascelli nell’arcipelago del capitalismo.