Dove convivono modernità, cultura e civiltà
Nella lunga metamorfosi del nostro modello di capitalismo intermedio incardinato sulla dimensione delle piattaforme territoriali va configurandosi la macroregione Lover delle tre regioni protagoniste della partita dell’autonomia (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna). Parliamo di un’area con un Pil superiore a quello dei Paesi Bassi o dell’Argentina, pari al 40% del Pil italiano, a metà del valore della produzione manifatturiera, a oltre la metà dell’export.
Che si parli di metalmeccanica, di agroalimentare, di moda, di Ict, di automotive, la mappa italiana pone sempre in evidenza il triangolo i cui vertici sono Milano-Venezia-Bologna, con qualche significativa estensione al Piemonte per alcuni ambiti produttivi. La capacità competitiva di queste aree è sempre più l’esito di un rapporto virtuoso tra tessuto produttivo e funzioni di interconnessione a base urbana, dove risiedono autonomie funzionali (a proposito di autonomia) vecchie e nuove. Sono le città, in altre parole, ad assumere rilevanza nel generare nuovo capitale intellettuale, relazionale, umano e organizzativo in grado di contaminare i cluster produttivi impegnati in cicli di innovazione spinta.
Sono le città, in altre parole, ad assumere rilevanza nel generare nuovo capitale intellettuale, relazionale, umano e organizzativo in grado di contaminare i cluster produttivi impegnati in cicli di innovazione spinta.
Se ciò è stato oltremodo evidenziato nel caso di Milano, che svolge questa funzione per tutto il Centro Nord e oltre, è altrettanto vero che l’evoluzione territoriale segue vie peculiari a seconda delle matrici storiche di rapporto tra città e contado, oggi tra smart city e smart land. Prendiamo la Via Emilia dove sull’asse pedemontano si snoda una serie di città-distretto in rete che fanno tesoro della comune cultura civica e istituzionale, del know-how amministrativo e della storica propensione all’investimento in cultura umanistica e scientifica un punto di forza al servizio delle piattaforme produttive diffuse. Ne sono un esempio la rete degli Its promossi dalla Regione Emilia-Romagna o quella dei poli tecnologici, l’ultimo dei quali recentemente inaugurato a Brasimone (Bo) coinvolgendo anche Regione Toscana ed Enea.
In questo contesto anche le fondazioni di origine bancaria giocano un ruolo importante. Fino a poco tempo fa le abbiamo vissute e raccontate come funzioni di supporto alle aggregazioni bancarie, invece è in atto un loro riposizionamento come autonomie funzionali nella metamorfosi dell’economia e dei territori. Rappresentano oggi uno dei soggetti più legittimati nell’elaborazione di strategie territoriali condivise, di sperimentazioni innovative e di realizzazione di iniziative orientate ad accompagnare i percorsi di modernizzazione a partire da una missione di civilizzazione che si traduce anche nella produzione di beni collettivi, di cui, ad esempio mi pare un caso emblematico quello delle Ogr a Torino con la regia della Fondazione Crt.
A Modena, per tornare alla Via Emilia, la locale Fondazione Cassa di Risparmio si è fatta promotrice, insieme al Comune, al ministero dei Beni Culturali con le Gallerie Estensi, e Unimore, del progetto “Ago”, iniziativa di rigenerazione urbana dell’ex ospedale Sant’Agostino, che punta entro qualche anno a costituire un polo di digital humanities in cui fare sperimentazione di nuovi rapporti tra Ict e l’enorme patrimonio culturale della città, fare didattica di ricerca per innovare i modelli di apprendimento dei giovani, rigenerare le proposte formative del sistema di istruzione pubblico in chiave interdisciplinare, favorire lo sviluppo di pensiero critico e creativo nell’approccio umanistico alle tecnologie, il tutto mettendo a sistema la Modena medioevale, quella ducale, quella risorgimentale quella industriale del ’900, per giungere ai tempi del paradigma digitale.
Si punta a fare innovazione nei modelli di valorizzazione del patrimonio culturale stando sulla frontiera dell’intelligenza artificiale con l’obiettivo di attrarre talenti e competenze globali e al contempo si vuole fare inclusione dei giovani offrendo loro strumenti culturali e frame cognitivi per essere protagonisti del futuro della città. Perché, come racconta il presidente della Fondazione Paolo Cavicchioli, è importante comprendere il rapporto tra l’invenzione della stampa a caratteri mobili, le tesi di Lutero e la guerra dei 30 anni, così come quella tra l’invenzione della macchina a vapore e le conquiste sociali, o il motore a scoppio e il fordismo. Solo così si può comprendere il valore profondo della rivoluzione digitale e da qui trarne una prospettiva collettiva di un futuro capace di coniugare accelerazioni modernizzanti e forme di civiltà adeguate.
Aldo Bonomi
Microcosmi – Il Sole24Ore
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